Perché pensiamo di non potercela fare?




Io non lo so fare, è una mera convinzione negativa, di cui siamo un po' tutti vittime.

Potremmo definire queste convinzioni come delle etichette, ovvero dei limiti che ci siamo autoimposti o che ci hanno imposto altri. 

Questo non vuole essere uno di quegli articoli motivanti, che vi vogliono far credere che possiamo cambiare le nostre vite in cinque minuti. A quelli non ci credo neanche io...  Questo è un articolo che vuole solo capire da dove nascono questi limiti, e se veramente dobbiamo portarli con noi per tutta la vita.

Per comprendere meglio il concetto di etichetta, vale la pena rivisitare la nostra concezione di realtà. Molti filosofi sono d'accordo sul fatto che la realtà non esista, ma che esistano solo interpretazioni individuali di essa. Tommaso da Kempis, monaco e scrittore, vedeva la realtà non come una che diviene, ma come una costituita da molte che sono. Quindi una realtà composta da una moltitudine di sfaccettature e non una verità assoluta. Di conseguenza, nella nostra soggettiva interpretazione, possiamo estrarre nella moltitudine di sfaccettature, solo quella parte di realtà che le nostre limitazioni possono concepire. Quotidianamente ci confrontiamo con l'esterno, ma alla fine l'esterno è solo una proiezione della nostra natura interiore.   

Da questo possiamo dedurre che le etichette, e quindi tutti i limiti che ci portiamo dietro, sono soltanto una delle tante possibili visioni della realtà. Nascono viziate dalle limitazioni degl'occhi di chi guarda. Possono essere i nostri occhi, o di altri, ma ciò che vedono è sempre filtrato, e il risultato è una finta verità che possiamo sempre cambiare.  

Sono timido, sono pigro, sono goffo, sono ansioso, sono stonato, sono apatico, sono vendicativo ecc. Questo è un elenco di etichette, ma potrebbe durare all'infinito... 

Prendiamo ad esempio l'etichetta: "sono stonato", e vediamo in un esempio pratico come può nascere.

Francesca, ragazza adolescente viene invitata ad una festa di compleanno. Alla festa c'è il karaoke, e lei insieme alle sue amiche decide di cantare una canzone. Nessuna di loro è una cantante, ma poco importa, vogliono soltanto divertirsi e non vincere il festival di Sanremo. Francesca canta a squarciagola, e finita la canzone torna a sedersi al tavolo. Poco dopo vede un gruppo di ragazze ridere, e ponendo verso di loro la sua attenzione, comprende che stanno proprio ridendo della sua performance canora. Francesca è in quella fascia di età dove le emozioni fanno rumore, e prova una fortissima sensazione di vergogna. 

Da quella volta non ha più voluto fare il karaoke, e quando qualcuno l'ha invitava a farlo, declinava rispondendo di essere stonata.

Ed ecco l'etichetta che germoglia, e si insinua in un terreno fertile: le nostre fragilità.

Francesca non pensa che in quella festa ci potevano essere persone che avevano apprezzato la sua energia, non pensa che, se la divertiva cantare  poteva seguire delle lezioni e migliorarsi. Non tiene conto che il giudizio di chi la criticava, era frutto dei loro limiti. Probabilmente chi criticava, era spaventato dalla libertà di Francesca, il fatto che lei si stesse divertendo, cantando davanti a tutti pur non essendo un fenomeno nel canto, mentre loro, con i loro limiti non potevano far altro che stare sedute.  

Per la fragile autostima delle persone, è più facile denigrare tutto quello che potrebbe ricordarci le nostre debolezze, rispetto a prenderne atto e provare a cambiarle. E dunque nel nostro caso, i limiti di quel gruppo di ragazze che ridacchiava, si tramutano indirettamente in uno scomodissimo vestito per Francesca, che indosserà per molto tempo. 

Ognuno di noi nel suo vissuto può vantare un'esperienza simile. Magari crediamo di non essere portati per la matematica, per le lingue, per lo sport. Ma siamo sicuri che sia veramente così? Spesso confondiamo l'effetto con la causa:

"Io non gioco a calcio perché non so giocare".

 Di conseguenza non giocandoci non imparo. Poi magari nella lezione di educazione fisica sono costretto a giocarci, la partita sarà un disastro. Ed ecco che ho confermato la mia convinzione. È evidente che diventi bravo in qualcosa se ti eserciti e non se scansi gli allenamenti.

Insomma, se c'è qualcosa che ti piacerebbe fare, ma non lo stai facendo perché pensi di non esserne in grado, prova a riflettere sul come è nata questa tua convinzione.  Forse potresti accorgerti che è soltanto un'etichetta, la lettura di una sola pagina del libro della realtà. Ora tocca a te decidere quale pagina leggere.

Ps Francesca è tornata a fare il karaoke!

Cristian Silvestri  PSICOLOGIA SELF SERVICE 

riferimenti: Wayne w. Dyer / blog Filosofia al taglio e Psicologia da asporto. 


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